L'altra Austen. 3: I Watson
P
erché Jane Austen lasciò incompiuto I Watson? perché la sua vita somigliava troppo a quella delle sorelle Watson? perché era distratta dai divertimenti di Bath? perché non le piaceva più? perché morì il padre e aveva altro a cui pensare? Nessuno lo sa. Ma è un frammento che vale la pena di leggere, e magari la voglia aumenta leggendo quello che ne scrisse Virginia Woolf:
Quali ne sono le componenti? Un ballo in una città di provincia; alcune coppie che si incontrano e si tengono per mano in una sala dove si mangia e si beve un po'; e, come "catastrofe", un ragazzo che viene umiliato da una signorina e trattato con bontà da un'altra. Nessuna tragedia, nessun eroismo. Eppure, per qualche motivo, la scenetta ci commuove in modo del tutto sproporzionato all'apparente banalità. Il comportamento di Emma nella sala da ballo ci ha permesso di capire quanto riguardosa, tenera e spinta da sentimenti sinceri si sarebbe rivelata nelle crisi più gravi della vita che inevitabilmente, mentre la seguiamo, si dispiegano ai nostri occhi. Jane Austen padroneggia un'emozione molto più profonda di quanto non emerga in superficie. Ci stimola a fornire quel che manca. Lei pare offrire solo un'inezia che però si espande nella mente del lettore arricchendo certe scene a prima vista insignificanti di una vitalità quanto mai duratura.
C'è una frase che per me è particolarmente rivelatrice: "Jane Austen padroneggia un'emozione molto più profonda di quanto non emerga in superficie." Una considerazione che può essere tranquillamente estesa ai suoi romanzi più famosi.
Un'altra frase (che è conseguente a quella che ho trascritto prima): "Eppure, per qualche motivo, la scenetta ci commuove in modo del tutto sproporzionato all'apparente banalità." me ne ha ricordata una molto simile di Harold Bloom su Emily Dickinson: "Non c'è banalità che sopravviva alla sue prese di possesso".
<Il brano è tratto da: Virginia Woolf, "Jane Austen", in Il lettore comune, trad. di Daniela Guglielmino, il melangolo, Genova, 1995, vol. I, pagg. 156-57.
La frase di Bloom su Emily Dickinson da: Harold Bloom, Il canone occidentale, trad. di Francesco Saba Sardi, Bompiani, Milano, 2000, pag. 261.
Mi presento:
RispondiEliminaho solo letto tutti i romanzi più noti di Miss Jane.
Parecchi li ho anche riletti più volte.
Non sono certo un'esperta.
Presentandomi ho voluto mettere le mani avanti perchè così posso adesso dire in tutta serenità che non interloquisco con questi tuoi post per la semplice ragione che non ritengo di possedere competenze e capacità per farlo.
Però tengo moltissimo a dire che -- proprio perchè adoro Miss Jane ma non sono un'esperta --- me li sto leggendo tutti, questi post, con grandissimo gusto e profitto.
Sto imparando un sacco di cose.
Grazie!
gabrilu, sai che tra di noi ci si insegna e si impara a vicenda. Consideralo un acconto sul saldo che ti devo :-)
RispondiEliminaDevo dire che Jane Austen è davvero un soggetto interessante; in questo periodo sto traducendo le sue opere e insieme le sue lettere, e questo viaggio in parallelo opere-vita mi sta appassionando (checché ne dica il nostro Marcel!).
Ma non avrai mica preso sul serio quello che diceva Marcel nel suo Saint Beuve! E chi ci crede più, oggi come oggi! :-)
RispondiEliminaMarcel bluffava alla grande, e quando non bluffava, quelle cose le diceva solo perchè i suoi tempi non erano ancora tali da potergli consentire di dire "io sono io e basta".
Non c'era ancora lo sdoganamento dei gay e il trionfo dei trans (erano tollerate solo le escort, ma solo se d'alto bordo e molto acculturate)
Porello lui Marcel ma fortunati noi, perchè se così non fosse stato forse noi ci saremmo persi Mr. de Charlus se non addirittura il 90% della RTP).
Ricordiamoci che a Gide il nostro Marcel disse: "Si può dire tutto, parlare di tutto, purchè non lo si faccia mai parlando in prima persona".
Scusa la digressione pesantemente OT, ma mi hai provocata ^__^
"Scusa la digressione pesantemente OT, ma mi hai provocata ^__^"
RispondiEliminaCi contavo :-)